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Auto elettriche: cosa ci insegna lo scandalo cinese dei sussidi?

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Negli ultimi anni la Cina è diventata il centro nevralgico della mobilità elettrica globale. Merito, almeno in parte, dei generosi sussidi statali che hanno sostenuto lo sviluppo e la diffusione di veicoli elettrici e ibridi nel Paese. Tuttavia, proprio su questo sistema di incentivi, oggi si concentrano i riflettori di un’inchiesta che rischia di minare la fiducia nei principali protagonisti del settore.

Secondo un recente audit del Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT), alcune tra le più importanti case automobilistiche cinesi, come BYD e Chery, avrebbero ottenuto fondi pubblici senza averne pienamente diritto. Il controllo ha riguardato oltre 75.000 veicoli e ha fatto emergere irregolarità per un valore complessivo di circa 111 milioni di euro.

Le criticità? Veicoli non conformi ai requisiti minimi, chilometraggi insufficienti, e strategie “creative” di immatricolazione, come la registrazione di vetture nuove come usate per facilitare l’export e gonfiare i dati di vendita. Un meccanismo che, in alcuni casi, ha consentito di ottenere finanziamenti non dovuti, spingendo il governo a sospendere i sussidi in alcune regioni e a intensificare i controlli su scala nazionale.

Scandalo sussidi EV in Cina

L’Europa osserva e prende appunti

Nel frattempo, il mercato europeo si trova in una posizione delicata. I veicoli elettrici prodotti in Cina, anche da aziende coinvolte in queste pratiche, sono sempre più presenti nelle concessionarie di tutto il continente. Alcuni modelli di BYD o MG (marchio oggi controllato da SAIC) offrono tecnologie avanzate a prezzi molto competitivi. Ma l’accessibilità ha spesso un prezzo: trasparenza, tracciabilità e correttezza delle pratiche commerciali non sono sempre allineate agli standard richiesti in Europa.

Bruxelles, infatti, ha già avviato indagini anti-dumping per valutare se i costruttori cinesi stiano beneficiando di un vantaggio sleale, grazie proprio agli aiuti pubblici. Il rischio, per il consumatore europeo, è doppio: da un lato acquistare un prodotto competitivo ma sostenuto da pratiche opache; dall’altro veder rallentare l’industria continentale, che fatica a competere con prezzi così aggressivi senza rinunciare alla qualità e alla conformità.

Incentivi europei: serviranno nuove regole?

Anche l’Europa ha puntato molto sugli incentivi per favorire la transizione elettrica, ma le differenze rispetto al modello cinese sono significative: qui i bonus vengono quasi sempre assegnati al consumatore finale, e non direttamente ai produttori. Tuttavia, l’espansione dei brand asiatici impone una riflessione sul futuro delle politiche industriali europee.

Servirà più controllo? Più investimenti locali? Una politica industriale comune che vada oltre i confini nazionali?

Domande che diventano sempre più urgenti in un mercato dove l’auto elettrica non è più solo una scelta ecologica, ma anche un campo di confronto geopolitico ed economico.

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